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Aborto terapeutico: Cos’è, Come Funziona e Testimonianze

Aborto terapeutico, un termine che indica una interruzione volontaria della gravidanza (IVG) a causa di determinati trattamenti medici. Perchè viene definito terapeutico? Perchè viene effettuato con lo scopo di preservare la salute della madre o di evitare lo sviluppo di un feto segnato da malformazioni o gravi patologie. Si tratta di una pratica che viene consentita dalla legge dello Stato italiano, dal 1978 con la legge 194, se praticata entro i primi novanta giorni.

Questo periodo si valuta a partire dal concepimento, un lasso di tempo valutato in fase di valutazione attraverso una ecografia. A questa disposizione ci sono, tuttavia, delle eccezioni che consentono l’interruzione terapeutica della gravidanza fino alla venticinquesima settimana. Alcuni dei fattori che possono portare a questa importante scelta sono calcolati in base ai possibili rischi. La gravidanza, infatti, in particolari condizioni, potrebbe mettere a rischio la vita della donna.

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Un’altra problematica potrebbe essere strettamente legata al feto in quanto potrebbero insorgere nel nascituro patologie, anomalie e/o malformazioni. Questo potrebbe abbassare di molto la qualità della sua vita, la sua salute fisica e quella mentale rendendo di molto limitate le possibilità che questo possa condurre una vita del tutto “normale”. L’argomento è, naturalmente, molto delicato dunque va affrontato utilizzando le giuste precauzioni.

Vedi anche:

  • Analisi prenatale
  • Analisi prenatale NIPT

Aborto Terapeutico: Cos’è?

Come abbiamo già accennato, l’aborto terapeutico è l’interruzione di gravidanza possibile oltre i primi tre mesi di gravidanza, cioè oltre i termini consentiti dalla legge italiana sull’aborto. L’aborto terapeutico, in alcuni casi, si considera necessario quando la gravidanza o le eventuali malformazioni del feto mettono a rischio la vita e la salute fisica e psichica della madre. In casi di questo tipo, dunque non solo in caso di aborto volontario, il ginecologo prescrive l’aborto chirurgico. Da una parte, l’aborto farmacologico con pillola abortiva è possibile solo entro i due mesi di gravidanza.

Se la gestazione è andata oltre, e si rende necessaria un’interruzione, si ricorre all’intervento secondo diversi metodi. Non si tratta di una scelta semplice, che sia volontaria oppure no. Le condizioni di salute che possono rendere necessario ricorrere all’aborto terapeutico sono differenti. Ritroviamo l’emorragia dovuta al distacco della placenta ma anche la rottura del sacco amniotico o malformazioni.

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Quando si è sicuri di voler prendere questa decisione è importante rivolgersi al medico il prima possibile perchè dalla prima visita all’induzione del parto potrebbero trascorrere diversi giorni (e quindi si correrebbe il rischio di fuoriuscire dal lasso di tempo indicato dalla legge). Nel caso in cui ci si trovi nella condizione in cui il feto abbia sviluppato una particolare patologia è, ovviamente, necessario essere in possesso di tutti i documenti che sono stati utili al fine di fare la diagnosi (tra questi, alcuni esempi sono l’ecografia e l’amniocentesi).

Aborto Terapeutico: Come muore il feto

La procedura di aborto terapeutico può seguire strade differenti. Fino alla 15 o 16 settimane di gravidanza, l’interruzione viene praticata in modo molto simile a quanto accade nei primi 90 giorni, poichè in queste situazioni viene preparato il collo uterino applicando nella mucosa vaginale un farmaco. Dopo circa tre o quattro ore, il medico procede svuotando la cavità uterina attraverso le cannule Karman facendo quello che, in genere, viene definito raschiamento.

Dopo le 15-16 settimane, invece, è necessario indurre un travaglio, detto appunto abortivo, che porta all’espulsione del feto. Qui le possibilità sono differenti, ora le vedremo più nello specifico cercando di illustrare le informazioni più importanti, ricordando che un articolo non può sostituire un colloquio medico.

Vedi anche: Pillole anticoncezionali

Prostaglandine

Questo è uno dei metodi utilizzati per l’aborto terapeutico, consiste nella somministrazione periodica di prostaglandine per via vaginale. Stiamo parlando di un farmaco che induce l’utero a contrarsi, per poi dare inizio al travaglio. Teniamo conto del fatto che i tempi dell’induzione e del travaglio dipendono molto dalla risposta individuale. Nella maggior parte dei casi, però, il parto avviene in un arco di tempo compreso tra alcune ore e, al massimo e più raramente, un paio di giorni.

Il protocollo che prevede la somministrazione di prostaglandine si adatta meglio nel caso in cui la paziente abbia precedentemente affrontato un parto cesareo in quanto, in questo caso, risulta essere meno rischiosa. Un taglio cesareo, invece, potrebbe ritenersi necessario qualora la donna presentasse una condizione severa di asma bronchiale o seguisse una terapia a base di cortisonici.

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Mifepristone

Un altro metodo usato per l’aborto terapeutico è l’assunzione per via orale di mifepristone, la pillola RU486, seguita da somministrazione di prostaglandine per via vaginale. Questa associazione si utilizza perchè l’RU486 sensibilizza l’utero all’azione delle prostaglandine e quindi riduce i tempi del travaglio abortivo. Dobbiamo precisare però che questa tecnica non si utilizza in tutte le strutture dunque potrebbe non rientrare nel ventaglio di scelte. Rispetto al tradizionale metodo abortivo, in caso di assunzione di questo farmaco, non viene richiesta l’ospedalizzazione della paziente. Questo perchè non risulta essere necessario un intervento chirurgico.

In media il sanguinamento si presenta da uno a due giorni dopo l’assunzione del composto. Solamente in un piccolo numero di pazienti l’espulsione dell’embrione avverrà in un tempo precedente dell’assunzione della prostaglandine. A seguito di questa ulteriore somministrazione sarà necessario attendere, per l’espulsione, un tempo che varia da qualche ora ad alcuni giorni.

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Il mifepristone non è esente da effetti collaterali in quanto, a seguito dell’assunzione, potrebbero verificarsi dei casi di emorragia vaginale. Nella maggior parte dei casi, non risulta essere grave al punto da richiedere ospedalizzazione o trasfusioni. Al di là di quale protocollo sia stato seguito, si procede attendendo le contrazioni uterine e l’inizio del travaglio. In caso di dolore eccessivo, o difficilmente sopportabile, è possibile associare a questa tipologia di intervento la somministrazione di un antidolorifico. Nel momento in cui la dilatazione raggiunge 2 o 3 centimetri del collo uterino, è possibile trasferire la paziente in sala parto dove potrebbe essergli praticata un’anestesia generale.

Aborto terapeutico e sindrome di Down

In aumento sono i casi aborto terapeutico connessi alla diagnosi di sindrome di Down, come dimostrato da numerosi studi e ricerche in diverse parti del mondo. Non a caso, è ormai possibile svolgere alcuni test prima della nascita del bambino. Questo per appurare la probabilità di partorire un bambino con sindrome di Down, anche nota come trisomia 21. Non si tratta di un argomento semplice da affrontare poichè riguarda temi di enorme portata.

Tra cui l’importanza della prevenzione prenatale per forme di malattie genetiche importanti e gravemente invalidanti, oltre all’accettare di mettere al mondo un figlio o una figlia con disabilità. La scelta non è semplice da prendere e deve essere ben ragionata, possibilmente insieme al proprio partner. Una precisazione importante da fare è che, spesso e volentieri, la società risulta accettante e inclusiva solo in apparenza.

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Decidere di partorire un figlio con sindrome di Down o altre patologie sottopone il nucleo familiare a numerose difficoltà e stress. per questo motivo è importante fornire informazioni complete ed esaustive, non tutti potrebbero essere all’altezza di affrontare un compito così gravoso. Naturalmente i bambini e i ragazzi con sindrome di Down possono ottenere risultati estremamente soddisfacenti, anche perché i livelli di ritardo nello sviluppo sono differenti a seconda dei casi.

La maggior parte le tappe dello sviluppo si raggiunge in ritardo e solo parzialmente, ma questo non significa non poter creare una vita ricca di obiettivi. Colpevolizzare la donna perché incapace di prendere una scelta contraria all’aborto terapeutico non è la strada giusta da seguire. Importante è valutare insieme al proprio medico e al proprio partner rischi e conseguenze.

Aborto Terapeutico: Testimonianze

Le testimonianze relative all’aborto terapeutico sono numerose, consigliamo anche di visitare alcuni forum dedicati all’argomento perchè molto utili nel caso in doveste prendere una decisione di questo tipo. Come abbiamo già sottolineato, non si tratta di una decisione semplice da prendere dunque condividere la propria esperienza o leggere racconti di chi l’ha condivisa può essere di grande aiuto. Le testimonianze delle donne, che si tratti di aborto terapeutico su base volontaria oppure no, parlano di un’esperienza difficile, importante da condividere con la propria famiglia e, se possibile con il proprio partner.

Evitare di sentirsi soli e parlare con chi può comprendere le difficoltà dovute a una scelta di questo tipo è essenziale. Questo per alleviare le conseguenze negative, soprattutto da un punto di vista psicologico. Nelle testimonianze leggiamo che le emozioni dopo l’interruzione forzata di gravidanza sono dolore, confusione, agitazione, sconforto e grande senso di colpa. Si tratta di emozioni tipicamente associate al lutto ed è normale, poiché un aborto terapeutico è una morte e quindi comporta un lutto. Le perdite che avvengono in quel momento sono svariate: la morte del bambino, la perdita della relazione intima con esso, la progettualità della vita insieme e una parte di se stessi, per questo motivo è davvero inevitabile che si provi un senso di vuoto.

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Vissuto negativo

La durata del vissuto negativo può durare mesi, alternando periodi di benessere ad altri cadute in periodi difficili e dolorosi. In particolare in presenza di date significative o ricorrenze, come la data di interruzione della gravidanza, quella della diagnosi o del presunto parto. Diamoci il tempo per elaborare perchè la vita dopo l’interruzione di gravidanza è davvero difficile. La cosa importante è che la donna viva davvero quel periodo di lutto, perché ha tutto il diritto di piangere il suo bambino perduto. Molte donne non esprimono la loro sofferenza per la paura di venire giudicate, altre non la esprimono perché non hanno nessuno con cui farlo. C’è bisogno di molta attenzione e ascolto, per cui è bene rivolgersi a professionisti del settore. Questo soprattutto per avere il giusto aiuto psicologico nell’accettare e superare la perdita.

Aborto Terapeutico e dolore

L’aborto terapeutico non include la stessa quota di dolore chi di solito si associa a un parto, soprattutto se naturale. Sottolineiamo che, tra gli effetti collaterali dovuti all’esecuzione di un aborto terapeutico di tipo chirurgico, ritroviamo senz’ombra di dubbio il dolore. L’intensità può essere differente da donna a donna, oltre alla presenza di leggere perdite di sangue che potrebbero perdurare per 4-5 giorni dopo l’intervento

Un’altra tipologia di dolore che è importante prendere in considerazione quando si parla di aborto è il dolore psicologico. Le situazioni drammatiche che spingono la donna ad aderire all’aborto terapeutico, non solo spengono una vita ma la segnano profondamente. Si tratta di un evento che si accompagna in genera a rabbia, dolore, confusione e senso di colpa. Le conseguenze possono essere davvero pesanti per la salute psicologia della donna, soprattutto se viene a mancare l’assistenza durante il processo di decisione e nelle settimane successive all’interruzione di gravidanza. Solitamente la notizia che qualcosa non va nel feto o nella gravidanza è un evento improvviso e traumatizzante. Questo per la mamma ma anche per la coppia, la prima reazione è shock, accompagnato da angoscia e decisioni da prendere.

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Legge e Chiesa sull’Aborto Terapeutico

Naturalmente la tematica dell’aborto terapeutico non è ben vista e considerata dalla Chiesa, che considera la vita umana come un dono di Dio a cui dunque è peccato rinunciare. Detto questo, rispetto a qualche anno fa, anche la Chiesa a subito una certa evoluzione relativamente a tematiche di questo tipo. Il rifiuto dell’aborto è stato sin dalle origini un tratto distintivo dei Cristiani nei confronti del mondo greco-romano in cui l’aborto era pratica diffusa. Una precisazione importante da fare in merito a questo argomento è che la Chiesa considera accettabile ricorrere all’aborto nel momento in cui, a causa di diverse patologie, la vita della donna è in pericolo.

Detto questo, è importante precisare che la scelta di ricorrere al aborto terapeutico deve essere individuale, tenendo sempre presente il proprio nucleo familiare. Basarsi esclusivamente su precetti religiosi non è una scelta semplice, per questo è sbagliato giudicare chi non segue questa strada.

Scritto da Ilenia Zelin

Da sempre amante della farmacologia e dell’integrazione naturale. Sono copywriter da sei anni, personal trainer e laureata in chimica e tecnologia farmaceutiche dal 2017 e farmacista dal 2020.