La mononucleosi è una malattia infettiva causata dal virus di Epstein Barr, trasmissibile con la saliva, con la tosse/starnuti o con oggetti contaminati, da cui il nome “malattia del bacio“. Tipica dei bambini e degli adolescenti, la mononucleosi causa sintomi simil-influenzali (malessere, febbre, astenia, ingrossamento linfonodale) ed in rari casi la malattia può colpire organi come milza, fegato e polmoni, con conseguenze più gravi. La malattia è diffusa in tutto il mondo, non è grave nel soggetto sano (se non insorgono complicanze, comunque rare).
Non esiste cura, solamente terapia di supporto per i casi più gravi (molto rari) che richiedono il ricovero. La mononucleosi nella stragrande maggioranza dei casi si risolve spontaneamente entro qualche settimana senza conseguenze per le persone colpite, ma il virus rimane latente in alcuni tessuti e si può riattivare periodicamente per tutta la vita. Vediamo che cos’è la mononucleosi, come si manifesta, quali sono i sintomi e quanto dura la malattia.
Mononucleosi: cos’è?
La mononucleosi è una malattia infettiva virale che colpisce tutto l’organismo. E’ causata dal virus di Epstein Barr, un virus erpetico che si trasmette tramite la tosse, gli starnuti e la saliva. La malattia è acuta e mediamente contagiosa e si osserva frequentemente negli adolescenti dai 15 anni, specialmente nelle comunità scolastiche; non è raro che anche gli adulti la contraggano. Nei Paesi in via di sviluppo è invece più frequente nei bambini a partire dai 5 anni. Normalmente l’esordio è acuto con febbre alta, stanchezza, ingrossamento linfonodale, splenomeglia e faringite; si risolve spontaneamente in 2-3 settimane e le complicanze sono rare.
Clinicamente la malattia si sospetta quando si verificano i tipici sintomi, che però vanno distinti da altre patologie che possono essere simili come epatite virale, malattia da citomegalovirus, rosolia e toxoplasmosi. La diagnosi solitamente è clinica ma per avere la certezza bisogna eseguire gli esami del sangue (emocromo con formula, test anticorpale e test sierologico).
Nel sangue periferico dei pazienti con mononucleosi si osserva una forte presenza di linfociti morfologicamente anomali (cellule immunitarie che presentano un unico grande nucleo, da cui il nome della malattia) e la presenza di anticorpi diretti contro proteine specifiche espresse dal virus. Gli esami di conferma della malattia sono:
- Esame emocromocitometrico (emocromo). In presenza di mononucleosi, si riscontra l’aumento di globuli bianchi, mentre l’analisi dello striscio ematico risulta la presenza di caratteristiche cellule mononucleate.
- Monotest. Test semplice e rapido utilizzato per il supporto alla diagnosi, tuttavia poco specifico.
- Ricerca degli anticorpi anti-EBV VCA. Esame che valuta la presenza nel siero di anticorpi specifici per l’EBV appartenenti alla classe IgM (anticorpi che compaiono subito dopo l’infezione primaria) e delle IgG (compaiono dopo qualche settimana dall’infezione). Quando le IgM calano e restano solo le IgG, significa che l’infezione è superata.
- Ricerca degli Anticorpi anti-EBV EA. Individua gli anticorpi specifici del virus chiamati early antigen, riscontrabili nel sangue anche a distanza di mesi. Le IgG verso questo antigene si possono ritrovare anche a distanza di anni nel sangue ed indicano che il soggetto ha in precedenza contratto la mononucleosi.
Mononucleosi: sintomi
Il periodo d’incubazione della malattia (ovvero il periodo che intercorre tra l’infezione ed il manifestarsi dei sintomi) è piuttosto lungo e varia dai 30 ai 50 giorni in adolescenti ed adulti, mentre è più breve nei bambini (10-15 giorni). Questi ultimi manifestano la malattia in forma più lieve o addirittura asintomatica. L’esordio clinico è spesso preceduto da una fase che preannuncia l’infezione, detta fase prodromica, in cui appaiono sintomi lievi, come:
- Malessere
- Modesta cefalea
- Febbricola (37° C)
- Inappetenza
- Dolori muscolari diffusi
- Sudorazione
In questo periodo l’organismo inizia a combattere il virus. Se però le difese immunitarie non riescono ad eliminarlo rapidamente, appare la mononucleosi vera e propria con i sintomi associati. Dopo la fase prodromica, la malattia può presentarsi con diverse forme cliniche: può essere totalmente asintomatica, paucisintomatica (sintomi lievi e transitori) e, in rari casi, in forma grave. I sintomi tipici sono simili a quelli di una influenza e sono:
- Febbre alta (38-39°C)
- Stanchezza e debolezza
- Cefalea
- Dolori muscolari
- Mal di gola intenso (possibile presenza di placche bianco-giallastre sulle tonsille che possono far sospettare un’infezione da streptococco)
- Ingrossamento dei linfonodi (specialmente quelli del collo)
- Splenomegalia (ingrossamento della milza)
- Sudorazione notturna
Questi sintomi sono causati dalla risposta infiammatoria verso il virus e dall’aumentata produzione di linfociti e monociti, le cellule attive contro il virus. Le complicanze della mononucleosi sono rare, ma possono essere molto gravi e consistono in:
- Epatite con aumento delle transaminasi ed ittero
- Esantema simile a quello del morbillo
- Rottura della milza
- Complicanze ematologiche (anemia emolitica e trombocitopenia)
- Difficoltà respiratoria
- Miocardite
- Sindrome di Guillain-Barre, meningite, encefalite
Dopo la guarigione, che richiede molte settimane e durante la quale persiste una forte stanchezza, il virus di Epstein Barr rimane latente nelle cellule del sistema immunitario e può ripresentarsi in caso di depressione immunitaria. I soggetti che hanno una riattivazione virale non sviluppano la malattia perché possiedono anticorpi contro il virus, ma possono essere contagiosi.
Mononucleosi: cause
La mononucleosi infettiva è causata dal virus di Epstein Barr (EBV), un virus a DNA che appartiene alla famiglia degli Herpesvirus (gli stessi di varicella ed herpes labiale/genitale) ed il cui bersaglio è rappresentato dai linfociti B. Il virus di Epstein Barr si contrae attraverso:
- Secrezioni respiratorie (saliva, tosse, starnuti)
- Modalità indiretta (oggetti contaminati: bicchieri, posate, piatti, giocattoli)
- Rapporti sessuali non protetti
- Trasfusione di sangue infetto o emoderivati
È stato calcolato che solo il 5% circa dei malati contrae il virus da persone con malattia acuta; la restante percentuale si ammala a causa del contatto con portatori sani o soggetti asintomatici. Il contagio è facilitato dallo stretto contatto con soggetti affetti, sovraffollamento e cattive condizioni igieniche. L’Istituto Superiore di Sanità stima che, nel corso della vita, il 90% della popolazione contragga il virus; la maggior parte delle persone sviluppa anticorpi specifici senza aver mai avuto segni di infezione.
Una volta penetrato nell’organismo attraverso la saliva ed altre secrezioni respiratorie, il virus infetta le cellule bersaglio (linfociti B) e ne induce la replicazione incontrollata. Infatti, nel sangue delle persone infette si osservano grandi quantità di linfociti mononucleati.
Anche una volta che l’infezione è stata debellata, il virus persiste nelle cellule B in forma latente e può riattivarsi se il sistema immunitario si indebolisce e non riesce più a controllare la latenza del virus. Alcuni studi hanno provato che l’infezione da EBV, in soggetti immunodepressi (ad esempio affetti da HIV o trapiantati), è la causa del linfoma di Burkitt, del carcinoma naso-faringeo, di alcune forme di linfoma di Hodgkin e di altre neoplasie. Infatti alcuni virus (tra cui l’EBV) alterano il DNA delle cellule ospiti e le rendono suscettibili allo sviluppo di tumori.
Mononucleosi: cura
Non esiste nessun trattamento specifico contro la mononucleosi; è utile l’uso di antinfiammatori ed antipiretici per trattare la febbre alta, il mal di gola ed i muscoli indolenziti. Quando la milza è ingrossata è importante evitare gli sforzi fisici ed i traumi che potrebbero causarne la rottura, un’emergenza medica che richiede un intervento immediato. Le categorie a rischio per rottura della milza sono i bambini e gli sportivi. Comunque, nella maggioranza dei casi la malattia si risolve spontaneamente entro 2-3 settimane dall’esordio dei sintomi. La guarigione richiede riposo a letto e assunzione, se necessario, di antinfiammatori; si consigliano buona idratazione e dieta sana per non affaticare il fegato.
Non esistono farmaci specifici per la mononucleosi, ma solo terapie sintomatiche: si possono assumere ibuprofene e paracetamolo, mentre è da escludere l’acido acetilsalicilico (Aspirina) perché nei bambini e adolescenti può causare una sindrome molto grave (sindrome di Reye). In ambito ospedaliero nei casi gravi possono essere somministrati corticosteroidi per ridurre le complicazioni infiammatorie (edema polmonare). Gli antibiotici sono inutili contro i virus.
Solo raramente i pazienti possono presentare riattivazioni del virus, che in alcuni casi (ma non tutti) possono coincidere con momentanee depressioni del sistema immunitario che non riesce più a tenere a bada la replicazione virale. Infatti, il virus di Epstein Barr rimane latente nel tessuto linfoide e nelle ghiandole salivari e si può riattivare causando la cosiddetta “sindrome da fatica cronica“, una condizione di debilitazione fisica che può permanere per diversi mesi.
Mononucleosi: quanto dura il contagio
La durata della mononucleosi infettiva è di 10-15 giorni per la malattia acuta, ma gli effetti possono riguardare periodi molto più estesi; durante la fase acuta il soggetto è contagioso. Anche una volta guariti, si può rimanere contagiosi per molto tempo, anche fino a 1 anno dopo l’infezione. Inoltre anche durante una eventuale riattivazione, è possibile trasmettere il virus (portatori sani), quindi una persona che ha contratto la malattia durante la sua vita può essere contagiosa in diversi periodi, senza sviluppare nessun sintomo.
Comunque, se si ha già contratto la malattia in passato, un nuovo contatto con il virus non avrà nessuna conseguenza perché l’organismo possiede gli anticorpi specifici contro il virus che evitano di manifestare la malattia. In generale quindi, la contagiosità della patologia è di diversi mesi a partire dalla fase acuta e fino a parecchio tempo dopo la guarigione.
È stato calcolato che il 15-25% dei soggetti che hanno contratto l’EBV continuino ad eliminare il virus nella saliva in modo continuativo ed asintomatico, contribuendo a diffondere la patologia. È importante che i soggetti che manifestano sintomi suggestivi di questa malattia restino a casa da scuola o da lavoro, perché la mononucleosi è mediamente contagiosa e può dare origine a piccole epidemie localizzate.
Mononucleosi è pericolosa?
Quanto è pericolosa la mononucleosi? Nella maggioranza dei casi la patologia non causa particolari conseguenze, anche se può permanere uno stato di stanchezza e il virus può riattivarsi anche molti anni dopo l’infezione primaria. Molto raramente sono stati registrati decessi causati dalla mononucleosi, per lo più a causa di complicanze e in soggetti immunodeficienti o con condizioni mediche pregresse, che li ponevano in particolare rischio. La mortalità è inferiore all’1% ed è dovuta principalmente a complicanze come encefalite, rottura di milza, ostruzione delle vie aeree.
Nel complesso, quindi, la mononucleosi non è assolutamente una malattia pericolosa per il soggetto sano e nemmeno per la donna in gravidanza o per il feto. Se contratta durante la gestazione, non ci saranno conseguenze.
Le complicanze della mononucleosi sono rare, ma possono essere gravi. A livello del sistema nervoso centrale sono riportati in letteratura rarissimi casi di convulsioni, encefalite acuta, meningite e mielite; nei bambini molto piccoli, l’ingrossamento delle tonsille può determinare ostruzione delle vie aeree o epatite fulminante. Una complicanza rara ma potenzialmente fatale è la rottura della milza dovuta al suo ingrossamento, in questi casi gli sportivi devono prestare attenzione ai traumi addominali che possono essere molto pericolosi.