Il morbo di Parkinson (o paralisi agitante) è una patologia neurodegenerativa progressiva nota per i suoi sintomi motori che comprendono: tremore, instabilità posturale e difficoltà di iniziare e/o portare a termine una movenza. Altri sintomi della malattia non sono collegati ai disturbi del movimento ed includono depressione, disturbi del sonno, allucinazioni, sudorazione e costipazione.
La maggior parte delle persone presenta una condizione idiopatica ma il parkinsonismo può essere sviluppato anche in seguito all’assunzione di un farmaco antipsicotico (parkinsonismo da neurolettici). A causa del blocco dei recettori dopaminergici di tipo D2 oppure essere conseguenza di fattori genetici. Difatti il 15% di individui che presenta questa patologia ha un parente di primo grado nella stessa condizione e il 5% possiede una mutazione per il gene della parkina o della dardina.
Cos’è il Parkinson
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che provoca la morte delle cellule nervose presenti nella zona nera, situata nel cervello, che, attraverso il neurotrasmettitore dopamina, controlla i movimenti del corpo.
A causa della morte progressiva dei neuroni, chi è affetto da questa malattia produce meno dopamina e perde il controllo del proprio corpo, per questo motivo si hanno tremori, lentezza nei movimenti e rigidità degli arti.
La sintomatologia del morbo di Parkinson si manifesta quando si sono persi più del 60% dei neuroni, impedendo una diagnosi precoce che possa aiutare tempestivamente l’individuo.
Nonostante i tanti studi, le cause della malattia sono sconosciute, il Parkinson è stato descritto la prima volta nel 1817 da James Parkinson, oggi le teorie si basano ipotesi genetiche e ambientali.
Infatti, studi epidemiologici hanno provato che esponendosi a pesticidi e metalli pesanti fa aumentare il rischio di essere affetti da questa malattia. Anche l’ipotesi genetica sembra avere un riscontro, si è scoperto che nel 20% dei pazienti affetti da morbo di Parkinson era presente un caso in famiglia.
Morbo di Parkinson: Cause
La patogenesi (che è lo studio delle modalità con cui viene alterato lo stato fisiologico) riguarda soprattutto:
- lo stress ossidativo
- le disfunzioni mitocondriali
- i fenomeni di eccitotossicità
- l’infiammazione e l’inibizione del sistema ubiquitina-proteosoma. Si tratta del fattore scatenate la formazione dei corpi di Lewy. Ovvero aggregati di proteine anormali che si sviluppano all’interno del neurone causandone la disfunzione e la conseguente apoptosi (è una forma di morte cellulare programmata).
Morbo di Parkinson: sintomi
I sintomi principali del Morbo di Parkinson sono il risultato di un minore rilascio di dopamina (che dà conseguente ipocinesia) causata dalla morte neuronale. Al contrario elevati livelli di dopamina promuovono l’atto del movimento. All’esordio dei sintomi motori sono già degenerati il 40% dei neuroni dopaminergici del sistema nervoso centrale e circa il 70% dei terminali dopaminergici nello striato. È una componente subcorticale del telencefalo che è una zona coinvolta anche nei processi cognitivi. Una volta che i primi sintomi sono emersi in media si verifica una perdita annuale del 10% dei terminali nervosi di questo tipo. Come abbiamo già specificato in precedenza, i sintomi del Morbo di Parkinson comprendono:
- tremore
- instabilità posturale
- difficoltà di iniziare e/o portare a termine una movenza
- depressione
- disturbi del sonno
- allucinazioni
- sudorazione
- costipazione
Come si scopre il Parkinson?
La diagnosi viene fatta sui sintomi, gli esami strumentali si usano per escludere altre patologie che possono avere gli stessi sintomi del morbo di Parkinson, anche se hanno cause diverse.
Per confermare la diagnosi di Parkinson ci sono esami particolari come lo SPECT e la PET, ma anche il DaTSCAN, una metodica di immagine funzionale innovativa, che serve a confermare o escludere la compromissione dei neuroni in uno stadio precoce della malattia.
Il 25% dei malati di Parkinson non sanno nemmeno di esserlo perché i sintomi sono leggeri e si possono confondere con altri e non ha ottenuto una diagnosi certa, in particolare accade ai pazienti di età tra i 40 e i 50 anni.
A volte, succede che la rigidità di un arto venga scambiata per un’infiammazione, un reumatismo o la postura scorretta, vengono trattati con antidolorifici e antinfiammatori che fanno momentaneamente scomparire il problema che si ripresenta successivamente.
In realtà certi disturbi possono essere i primi segni della malattia, è il medico di famiglia che non deve escludere nessuna patologia, nemmeno il Parkinson, anche se il paziente è giovane.
Terapia per il Morbo di Parkinson
Nel morbo di Parkinson è possibile intervenire con la neurochirurgia eseguendo una stimolazione profonda del subtalamo (utile per migliorare l’andatura e le difficoltà posturali). Oppure con la terapia farmacologica che cerca di migliorare i sintomi del parkinsonismo e di svolgere un ruolo di neuroprotezione.
La classica terapia farmacologica può essere suddivisa in dopaminergica (nota anche come terapia sostitutiva) in cui vengono somministrati farmaci come la levodopa, gli inibitori enzimatici di MAO e COMT (che sono responsabili della metabolizzazione ed inattivazione della dopamina) oppure agonisti dopaminergici. La terapia non dopaminergica è stata messa a punto per avere più target potenziali e può essere usata anche in associazione alla terapia sostitutiva per alleviare alcuni effetti collaterali. Tra questi ultimi farmaci ci sono:
- anticolinergici
- inibitori del recettore A2A dell’adenosina
- l’amantadina (è un farmaco che antagonizza il recettore post-sinaptico dell’acido glutammico)
- cannabinoidi
- oppiacei
- antiepilettici
- stimolanti del segnale del GABA
- antagonisti adrenergici e serotoninergici
Farmaci
- La dopamina non passa la barriera emato-encefalica (BEE) che è un sistema di protezione del tessuto cerebrale dagli elementi nocivi che si trovano nel sangue. Essa permette però il passaggio a tutte quelle sostanze essenziali per le funzioni metaboliche grazie, ad esempio, a dei trasportatori come quello per gli aminoacidi (vedi anche BCAA).
- La levodopa (o L-DOPA) è il farmaco più utilizzato tanto che è considerato il “gold standard” della terapia. È un precursore della dopamina in grado di attraversare la BEE in una percentuale pari al 5-10% (per questo deve essere somministrata ad alte dosi) ed è convertita in dopamina mediante una reazione di decarbossilazione.
La grande percentuale di farmaco che resta in periferia viene comunque metabolizzato in dopamina provocando effetti collaterali come nausea e discinesie (movimenti anormali ed incoordinazione motoria di muscoli volontari e non). Per quanto riguarda l’aspetto farmacocinetico (studio dei fattori che determina la quantità di farmaco che riesce ad arrivare al sito d’azione) l’L-DOPA l’intestino tenue la assorbe velocemente grazie alla sua grande superficie e vascolarizzazione. Difatti è considerata la sede di elezione dell’assorbimento che tuttavia può subire delle modifiche dovute al tempo di svuotamento gastrico o può essere rallentato dal cibo (soprattutto dagli aminoacidi) per la competizione che si crea con i trasportatori.
Aumentare i livelli di Levodopa
Per aumentare i livelli di levodopa che attraversano la BEE si possono usare in associazione:
- carbidopa (co-careldopa)
- benserazide (co-beneldopa)
Questi sono inibitori della DOPA decarbossilasi periferica e permettono di ridurre gli effetti collaterali dovuti dall’eccesso di dopamina in periferia. Allo stesso tempo aumentano la biodisponibilità del farmaco rendendo possibile la somministrazione di una dose minore (quindi minori effetti collaterali). Una sospensione periodica (dai 3 giorni alle 3 settimane) può attenuare alcuni effetti indesiderati ma aumenta il rischio di polmoniti ed embolia polmonare provocate dall’immobilità data da uno stato di patologia avanzato.
È importante ricordare che questo farmaco è un precursore della melanina cutanea per cui c’è il rischio di attivazione di un melanoma maligno. È da evitare, pertanto, nei pazienti con una storia di melanoma oppure che presentano lesioni cutanee sospette. La terapia ideale per il Morbo di parkinson deve avere come obiettivi:
- la neuroprotezione
- la prevenzione delle discinesie indotte dalla levodopa
- il trattamento dei sintomi non motori
Morbo di Parkinson: Rimedi naturali
Esistono alcune cure naturali in grado di combattere la malattia di Parkinson e rallentarne la progressione, di seguito ne scopriremo alcune.
- Vitamina D: questa vitamina è indispensabile per prevenire l’osteoporosi e aiutare il sistema immunitario a funzionare nel modo giusto, inoltre, è un micronutriente essenziale per il cervello. Alcune ricerche hanno evidenziato che un livello basso di vitamina D aumenta il rischio di malattie neurodegenerative e che l’assunzione di integratori di vitamina D aiutano a contener il Morbo di Parkinson.
- Coenzima Q10: con il morbo di Parkinson spesso vengono coinvolte alterazione nella funzionalità dei mitocondri, organelli da cui dipende la produzione energetica per le cellule. Il Coenzima Q10 è una sostanza presente nel corpo in grado di migliorare l’utilizzo di ossigeno alle cellule e difendere i mitocondri dallo stress ossidativo.
- Vitamine del Gruppo B: queste vitamine partecipano al buon funzionamento del sistema nervoso e possono incidere in modo positivo sulle malattie neurodegenerative; per mitigare i sintomi sono indicate le vitamine B9 e B12.
- Vitamina C e Vitamina E: queste vitamine riescono a contenere l’evoluzione del morbo di Parkinson e a ritardare l’uso di farmaci. Precisiamo che questi integratori non fanno guarire dal morbo di Parkinson e non lo curano, bensì aiutano a contenere i sintomi e a ritardare la degenerazione della malattia.
Il vaccino anti-Parkinson una possibilità futura per milioni di malati
La società austriaca AFFiRiS AG sta studiando un vaccino per la cura della malattia di Parkinson in grado di intervenire direttamente sulla causa e non sui sintomi.
Infatti il vaccino, chiamato PD01A, sembra essere in grado di agire sull’alfa-sinucleina, una proteina che ha un ruolo chiave nello sviluppo della malattia di Parkinson e della MSA (atrofia multisistemica). Quando questa proteina si deposita nel sistema nervoso, può portare allo sviluppo di queste malattie degenerative.
Intervenendo sulla causa e non sui sintomi, questo vaccino consente di modificare il progresso della malattia.
Lo studio che ha portato a questa scoperta è stato condotto dalla società AFFiRiS con i finanziamenti della Fondazione Michael J. Fox e così l’inizio della sperimentazione, la cui Fase I avvenuta a Vienna nel 2014.
In questa prima fase è stata dimostrato non solo l’alto livello di tollerabilità, ma anche riscontrato nel midollo spinale l’aumento di anticorpi specifici per l’alfa-sinucleina.
A tal proposito, Todd Sherer, CEO della fondazione Michael J. Fox, ha dichiarato che questo vaccino rappresenta un grande cambiamento per cinque di milioni di malati di Parkinson e la maggior parte della popolazione che aumenta il rischio di sviluppare la malattia con l’avanzare dell’età.
“A treatment that could slow or stop Parkinson’s progression would be a game changer for the five million worldwide living with this disease and the many more who will become at risk as our population ages”.
La prima fase del test è avvenuta attraverso la somministrazione a 24 pazienti, di dosi di 15 mcg e 12 mcg di PD01A, una volta al mese per quattro mesi e seguiti per altri otto mesi dopo l’assunzione del vaccino. Il gruppo di controllo era costuito da pazienti trattati con terapia anti-parkinson standard. E ha dimostrato l’elevato grado di tollerabilità e l’aumento di anticorpi specifici contro l’alfa-sinucleina.
Se la sperimentazione continuerà con questi brillanti risultati, si può ipotizzare un futuro più roseo per milioni di malati che ogni giorno combattono contro il morbo di Parkinson.
E’ possibile proteggersi ? Alcune ipotesi
Uno studio su più di 8000 soggetti seguiti per 30 anni ha evidenziato che chi non beveva caffè aveva un rischio 5 volte maggiore di ammalarsi di Parkinson rispetto a chi ne beveva a grandi quantità durante il giorno.
Non è molto chiara la relazione con il fumo, ancora non è chiaro se questo protegge oppure se i soggetti inclini a sviluppare la malattia di Parkinson, per qualche ragione non chiara, lo evitano.