I capelli rappresentano una parte piuttosto importante nella personalità di chiunque. Non solo perché rappresentano la giovinezza, ma anche per la loro forte simbologia che li associa a forza, bellezza, virilità/femminilità e successo. Mentre le donne da questo punto di vista sono piuttosto protette, sono numerosi gli uomini che iniziano a perdere i capelli in giovane età, complici lo stress della vita moderna e la tensione per ottenere un aspetto sempre migliore, in linea con gli standard estetici imposti dalla società.
Perdere i capelli per alcuni è solo una fase normale – anche se antipatica – della vita. Per alcuni è una vera e propria disgrazia che deve essere fermata in qualsiasi modo. Sono numerosi i rimedi per rallentare la calvizie, ma una vera e propria cura non esiste ancora.
Secondo i dati pubblicati dalla Società Americana per la Perdita dei Capelli (AHLA) l’alopecia androgenetica (nota come calvizie maschile) è responsabile del 95% della perdita di capelli negli uomini. (Vedi anche: Cos’è l’Alopecia Areata)
La maggioranza degli americani maschi inizia a perdere i capelli (a diversi gradi) prima dei 35 anni ed un quarto addirittura prima dei 21 anni. Anche se le donne sono meno interessate degli uomini dal processo di perdita dei capelli, per loro questa condizione è molto meno accettata. Il rischio di stigmatizzazione e di esclusione sociale è molto più alto.
Purtroppo, oltre 9 rimedi su 10 per la calvizie sono completamente inutili (vedi il nostro speciale sui rimedi per la calvizie). Per questo motivo, ogni nuova scoperta scientifica rappresenta un faro di speranza per chiunque soffre di calvizie. (Vedi anche: cura calvizie con farmaci o integratori)
PTD-DMB, sostanza rigenerante ed anti-caduta
Un gruppo di ricercatori sud coreani, appartenenti alla Yonsei University di Seul, sostengono di aver creato una nuova sostanza che previene la perdita dei capelli e ne promuove la crescita. Questa sostanza, un peptide creato in laboratorio, si chiama PTD-DMB ed è stata sperimentata con successo su cavie, arrivando ora ai test per la tossicità prima di procedere ai trial clinici sull’uomo.
La scoperta degli scienziati coreani si basa sulla presenza eccessiva, all’interno del cuoio capelluto delle persone calve, di una proteina chiamata CXXC5, una proteina nucleare zync-finger (ovvero si lega al DNA mediante un dominio che contiene atomi di zinco).
CXXC5 in eccesso è in grado di legarsi ad una proteina chiamata Dishevelled, appartenente alla pathway di segnale Wnt/?-catenina, innescata dal recettore Wnt (una delle tante vie attraverso le quali segnali esterni possono inviare segnali biochimici all’interno della cellula, modificandone lo stato; Wnt è coinvolta nella proliferazione e nel differenziamento cellulari). In particolare, negli esperimenti è stato osservato come il legame tra le proteine CXXC5 e Dishevelled regolasse negativamente la pathway Wnt, bloccandone alcune funzioni importanti legate alla formazione del follicolo pilifero.
Al contrario, il peptide sintetico chiamato PTD-DMB inibiva la formazione del complesso CXXC5-Dishevelled, attivando la pathway di Wnt e portando alla crescita del follicolo pilifero, prima inibita dal complesso. Lo studio, condotto dal dottor Choi Kang-Yell, è stato pubblicato sulla rivista Journal of Investigative Dermatology. (Vedi anche: Calvizie e cellule staminali)
PTD-DMB: sviluppi futuri sulla cura della calvizie
Testato sui topi calvi, il peptide sintetico PTD-DMB in associazione con l’acido valproico (VPA) dopo 28 giorni di applicazione ha indotto la formazione di nuovi follicoli piliferi.
Questo risultato positivo ha incoraggiato ulteriori test su animali, anche per valutarne l’eventuale tossicità e studiare un primo profilo dose-effetto. I passi successivi, una volta confermata la sicurezza della sostanza, saranno lo studio di un farmaco utilizzabile per l’uomo e trial clinici.
Gli studiosi sono ancora piuttosto lontani dall’ottenere un farmaco che non solo prevenga la calvizie, ma che rinnovi anche il tessuto pilifero. Tuttavia, la ricerca sta facendo grandi passi avanti per comprendere in primis quali siano i meccanismi responsabili della caduta e per scoprire, di conseguenza, nuovi bersagli terapeutici.