Spiega anche perché così tanti giovani decidono di trasferirsi all’estero per vivere meglio. Con la prossima manovra del governo Meloni, si spera, la soluzione dovrebbe migliorare gradualmente fino per lo meno a raggiungere i numeri del resto d’Europa.
Il precariato è una delle piaghe sociali che affligge la nostra penisola: non c’è da stupirsi dunque che sia al primo posto tra le problematiche che affronterà il nuovo governo. A seguito della maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro e del relativo declino del sindacalismo tradizionale negli ultimi decenni, lo studio dei processi di mobilitazione dei lavoratori precari è diventato particolarmente opportuno. Un numero crescente di lavoratori non ha un reddito garantito, è caratterizzato da potere contrattuale notevolmente basso e prospettive di carriera limitate o inesistenti.
Per la maggior parte dei giovani italiani, che lavorano senza tutele o diritti sindacali, il mercato del lavoro, lungi dall’essere un mezzo di emancipazione o di sviluppo personale, è una giungla dove il datore di lavoro è il re. Secondo i dati Eurostat, l’Italia ha il secondo più basso tasso di occupazione dei giovani lavoratori (15-29 anni) in Europa, al 31,1 per cento, livello che scende appena al 26,4 per cento per le donne. Questi dati testimoniano quanto sia difficile per un giovane trovare un lavoro o cercarne uno migliore e suggeriscono un’alta percentuale di lavoro informale. In uno studio della Fondazione Unipolis, il 35 per cento dei giovani tra i 15 ei 35 anni ha dichiarato di svolgere o aver svolto lavoro nero.
La situazione non è molto migliore per coloro che sono dichiarati ma devono far fronte a un alto livello di precarietà del lavoro. Quasi la metà (47 per cento) dei giovani lavoratori di età compresa tra i 15 ei 29 anni ha un contratto a tempo determinato, contro solo il 13,7 per cento degli over 35 (Eurostat). C’è poi anche il pantano del cosiddetto ‘lavoro grigio‘, termine che copre i rapporti di lavoro dichiarati ma in modo incompleto o irregolare: dipendenti travestiti da collaboratori o liberi professionisti, falsi contratti part-time, contratti che non corrispondono all’effettivo mansioni lavorative, la lista è lunga. Ed è qualcosa che purtroppo i giovani italiani conoscono fin troppo bene.
Tali condizioni rendono molto difficile per i giovani diventare indipendenti dalle loro famiglie e spiegano molto meglio dello stereotipo del “cocco di mamma” italiano perché i giovani non escono di casa in media fino all’età di 30 anni. Spiega anche perché così tanti giovani decidono di trasferirsi all’estero per vivere meglio. Con la prossima manovra del governo Meloni, si spera, la soluzione dovrebbe migliorare gradualmente fino per lo meno a raggiungere i numeri del resto d’Europa.